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PAOLO CONTE - BIOGRAFIA

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PAOLO CONTE - BIOGRAFIA Empty PAOLO CONTE - BIOGRAFIA

Messaggio  VIOLONE 1950 Gio Giu 20, 2013 10:57 am



Paolo Conte (Asti, 6 gennaio 1937) è un cantautore, paroliere e polistrumentista italiano. Pianista di formazione jazz, è considerato uno dei più importanti e influenti cantautori italiani, nonché uno dei più originali e innovativi musicisti contemporanei. Avvocato di professione, nella sua oltre cinquantennale carriera è stato autore di musiche per altri artisti, spesso collaborando con parolieri come Vito Pallavicini, per poi decidere, nel 1974, di abbandonare la carriera forense per dedicarsi esclusivamente a quella artistica. Stimato ed apprezzato dal pubblico francese e da varie platee internazionali, si è inoltre cimentato in altri campi espressivi, ricevendo nel 2007 una Laurea honoris causa in Pittura, per l'opera multimediale Razmataz, conferitagli dall'Accademia di belle arti di Catanzaro.
 
Gli anni cinquanta
I primi passi nel mondo della musica e l'amore per il jazz

Paolo Conte nasce ad Asti, nel 1937, da una famiglia di legali: il padre Luigi è un notaio con la passione per la musica, mentre la madre Carlotta, detta Tina proviene da una famiglia di proprietari terrieri. Durante la guerra trascorre molto tempo nella fattoria del nonno e tramite i genitori (appassionati sia di musica colta che di canzoni popolari) apprende i rudimenti del pianoforte, assieme al fratello minore Giorgio. L'ascolto di dischi di provenienza jazz, acquistati dal padre clandestinamente durante gli anni del Fascismo e di concerti di vari musicisti americani in tour in Italia, generano il primo embrionale amore di Conte per la musica jazz. A raccontare quei periodi sarà lo stesso Conte in un'intervista degli anni ottanta: «Mussolini aveva proibito la diffusione della musica americana e del jazz. Però era difficile impedire tutto. Così i grandi classici potevano circolare a patto… di essere eseguiti da orchestre italiane e con titoli italiani: ecco perché 'Saint Louis Blues' diventò 'Tristezze di San Luigi!' I miei, che erano molto giovani e dunque curiosi, appassionati di musica e ghiotti di novità, in barba alla polizia riuscivano a procurarsi dischi o spartiti di musica americana; la decifravano e poi la suonavano in salotto. In questo modo, sono stato nutrito di jazz e di America fin dall'infanzia».
Diplomatosi al Liceo Classico Vittorio Alfieri di Asti e laureatosi in Legge all'Università degli Studi di Parma, inizia a lavorare come assistente presso lo studio paterno, decidendo, contemporaneamente, di estendere a livello semi-professionale gli studi musicali. Durante la metà degli anni cinquanta impara a suonare il trombone, poi il vibrafono, entrando in numerosi complessi cittadini: dalla Barrelhouse Jazz Band, ai Taxi for Five, alla The Lazy River Band Society, i cui nomi tradiscono una dichiarata passione per il jazz e lo swing d'oltreoceano. In particolar modo con la Barrelhouse Jazz Band fonda in seguito, l'USMA, “Unione Studenti Medi Astigiani“, aprendo un circolo musicale presso l'Associazione Alpini della città. Il gruppo si esibisce tutti i sabato pomeriggio, dalle 16 alle 19 e 30, facendo conoscere a compagni e compagne di scuola, autori internazionali, all'epoca, assai sconosciuti come Rodgers & Hammerstein, George Gershwin, Cole Porter e Jerome Kern. Più avanti iniziano a suonare in vari locali, partecipando, in seguito, ad alcuni festival cittadini, tesi a promuovere complessi emergenti. La fascinazione per il jazz si estrinseca anche e soprattutto come fruitore di musica, tanto da convincere il giovane Conte a partecipare alla quarta edizione del “Quiz Internazionale di Jazz”, a Oslo, classificandosi al terzo posto.

Gli anni sessanta
La collaborazione con Vito Pallavicini e il successo di Azzurro

All'inizio degli anni sessanta fonda un nuovo gruppo, il Paul Conte Quartet (in cui il fratello Giorgio Conte suona la batteria), con cui nel 1962 avviene il suo esordio discografico, incidendo un LP per la RCA Italiana, contenente brani standard di musica jazz, dal titolo The Italian Way to Swing, l'album però non riscuote alcun successo Nello stesso periodo, sotto la scia di suggestioni assorbite dal cinema e dalla letteratura, inizia a scrivere le sue prime canzoni, spesso in collaborazione con il fratello Giorgio. Tra le varie sono da ricordare Ed ora te ne vai, cantata da Vanna Brosio, del 1964 e L'ultimo giorno, del 1965, su testo di Giorgio Calabrese, cantata da Carla Boni. Similmente a quanto accade per Francesco Guccini, Paolo Conte si affaccia nel mondo della musica leggera principalmente come "autore", componendo musiche e arrangiamenti per altri artisti. Il primo brano di un certo successo a portare la sua firma s'intitola Chi era lui, successivamente inserita e cantata da Adriano Celentano nell'album La festa; il testo, di chiara ispirazione religiosa, viene scritto da Mogol e Miki Del Prete, ed è presente nel lato B del celebre 45 giri, Il ragazzo della via Gluck. La collaborazione con Celentano prosegue con La coppia più bella del mondo (con testo di Luciano Beretta e Miki Del Prete) e soprattutto con Azzurro, il cui testo è firmato da Vito Pallavicini, paroliere con cui il musicista astigiano inizierà una prolifica collaborazione che durerà, in pratica, per tutti gli anni sessanta.
Nel 2007, lo stesso Celentano ha svelato, in occasione della morte di Pallavicini, la genesi di Azzurro: «Un giorno mi ha telefonato Pallavicini - ricorda Celentano - e mi ha detto: ho avuto un'idea pazzesca, però dobbiamo vederci, perché te la devo spiegare di persona. Ho scritto il testo di una canzone su una musica di Paolo Conte che non puoi non incidere perché sarà l'inno degli italiani: si chiamerà Azzurro». La canzone, divenuta un classico della musica italiana, sarà ripresa dallo stesso Paolo Conte e incisa nel suo primo album live Concerti, uscito nel 1985. A riprova del successo esponenziale che il brano ha avuto nel tempo, sempre nel 2007, un sondaggio promosso dal sito della Società Dante Alighieri, ha decretato Azzurro, al primo posto tra le canzoni italiane più famose e cantate nel mondo, spodestando l'altrettanto celebre Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno. Successivamente collabora col maestro di musica, suo concittadino, Michele Virano, con il quale compone le musiche di altre canzoni di successo, quali Insieme a te non ci sto più per Caterina Caselli e Tripoli 1969 per Patty Pravo. Contrariamente a quanto molte biografie riportano, la canzone Messico e nuvole, cantata e portata al successo da Enzo Jannacci, secondo quanto depositato nell'archivio Siae, non reca la firma del musicista astigiano, bensì quella del fratello Giorgio, di concerto con Michele Virano (per quanto riguarda le musiche) e per la parte testuale di Vito Pallavicini.
In merito alla canzone Messico e nuvole, e alla relativa interpretazione del cantautore milanese, Paolo Conte ha più volte dichiarato: «Ho avuto la fortuna di trovare un interprete come Enzo Jannacci, che per me rimane storicamente parlando, il più grande cantautore che l'Italia abbia mai espresso. Jannacci è il personaggio che conosciamo, con una dose di visibile follia geniale, manifestata al momento della registrazione della canzone, alla quale io ero presente, poiché l'ha cantata per tutto il tempo coricato per terra con il microfono in mano, urlando e sgambettando come solo lui sa fare, da saltimbanco intellettuale». Scrive, inoltre, con Pallavicini e musicisti quali Enrico Intra e Mansueto Deponti, il brano jazz francese No amore per la cantante Giusy Romeo, in seguito conosciuta come Giuni Russo; sempre con Pallavicini, scrive nel 1968 per Dalida un brano inquieto e drammatico, particolarmente adatto allo stile interpretativo della cantante, intitolato La speranza è una stanza. Tra i vari successi come autore, infine, è da ricordare il brano Santo Antonio Santo Francisco, per Piero Focaccia e Mungo Jerry, canzone che concorre al Festival di Sanremo del 1971.

Gli anni settanta
La svolta cantautorale

È solo nel 1974, a trentasette anni, quando ormai è sul punto di abbandonare la musica per dedicarsi alla sua professione di avvocato, che si convince, anche grazie alla pressione del suo primo produttore Italo Greco, a presentare lui stesso le proprie canzoni, incidendo nello stesso anno il suo primo disco dal titolo Paolo Conte. Si ha così la definitiva svolta cantautorale dell'artista, che da qui in avanti, firmerà in prima persona, oltre alle musiche, anche i testi delle proprie canzoni e dove è già presente "in nuce" tutto il suo stile riflessivo e disincantato, spesso caricato di tagliente e distaccata ironia. Per la critica l'opera prima di Paolo Conte è comunque un'opera ancora incerta e non precisamente messa a fuoco, quasi un'antologia revisionista delle opere prestate precedentemente ad altri artisti. L'album al momento dell'uscita non ha il riscontro commerciale sperato; tuttavia molte delle canzoni contenute diventeranno, negli anni, tra le più note del musicista astigiano, tra le quali si ricordano: La ragazza fisarmonica, Una giornata al mare, La giarrettiera rosa, La fisarmonica di Stradella e soprattutto Onda su onda, donata lo stesso anno all'amico e collega Bruno Lauzi. Con la canzone Sono qui con te sempre più solo, ha inizio la saga musicale dedicata all' "Uomo del Mocambo", storia del proprietario di un "bar immaginario", dove l'autore è solito tratteggiare storie e situazioni dal gusto decadente, spesso impersonate da curatori fallimentari che sorseggiano caffè (aiutato, in questo, da un forbito spirito autobiografico) e dove l'architettura del locale (con i suoi tinelli "maròn", insegne, luci, etc.) è pressoché identica in tutte le canzoni della saga. Il personaggio dell'uomo del Mocambo, ritornerà nelle canzoni successive La ricostruzione del Mocambo, Gli impermeabili e da ultima, La nostalgia del Mocambo.
La ricostruzione del Mocambo è anche uno dei pezzi del suo secondo album, Paolo Conte, opera che sancisce il definitivo distacco dalla produzione di canzoni d'interpretazione altrui, per approdare a una collezione di brani destinati a essere ricordati come veri e propri classici della sua produzione: basti ricordare Genova per noi (definita dall'autore una delle sue canzoni più importanti) e cantata anch'essa da Bruno Lauzi, La Topolino amaranto, Pittori della domenica e Luna di marmellata. Il successo, comunque, stenta ad arrivare e nonostante tutto, il musicista, vincendo il suo carattere particolarmente schivo e riservato, inizia ad esibirsi in pubblico. Sarà lo stesso Conte a ricordare il suo primo concerto, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera: «Avevo già i baffi. Era di mezza stagione, ero vestito di velluto marron. Mi ricordo che avevo un piano verticale, e durante le prove avevo appoggiato una bottiglia di acqua minerale che poi ho dimenticato. Quando poi di sera sono entrato in scena, nel buio, gli ho dato un colpo e ho subito battezzato le prime file. C’era già tanta gente, ad ascoltarmi, un quattrocento, cinquecento persone; poi per cinque, sei anni ho suonato ai Festival dell’Unità: l’intellighenzia allora era tutta lì, erano belle le feste con le donne che facevan da mangiare, si compravano i libri negli stand. Ho tenuto concerti anche a qualche grosso Festival dell’Unità, a Roma, Genova e Milano; leggendarie le kermesse emiliane, con quel buon profumo di costine di maiale».
Tra la fine del 1976 e l'inizio del 1977 Conte torna ad esibirsi in concerto con alcuni amici conosciuti alla RCA, tra i quali Piero Ciampi, Nada e Renzo Zenobi, ma le serate riscuotono consensi modesti. Grazie a questo incontro, tra l'altro, Nada incide, proprio in quell'anno, tre canzoni di Conte, Avanti bionda, Arte e La fisarmonica di Stradella. Partecipa, inoltre, nel 1977 alla trasmissione televisiva di Lucio Dalla, Il futuro dell'automobile e altre storie, dove con il musicista emiliano si esibisce al piano cantando Onda su onda e La Topolino amaranto, e sempre nello stesso anno collabora agli arrangiamenti dell'album Danze di Renzo Zenobi, e scrive per Gipo Farassino una delle sue canzoni più interessanti, Monticone, divertito ritratto del tipico personaggio piemontese.
Il Club Tenco e il successo di Un gelato al limon
«Paolo Conte è nato a Sanremo nel 1976 con il Club Tenco. Quando Amilcare Rambaldi (fondatore del Club) lo invitò alla rassegna, era praticamente ancora sconosciuto. Ricordo che pensò di doversi esibire in un piccolo club. Quando si trovò davanti all'Ariston ebbe quasi uno shock perché non si aspettava un teatro così grande». Così, ha ricordato, i primi passi del cantautore astigiano, Roberto Coggiola, fotografo ufficiale della rassegna dedicata alle canzoni d'autore, durante la presentazione di un'esposizione fotografica dal titolo Paolo Conte a Sanremo dal 1980 al 2005, dedicata all'artista astigiano ed esposta al Teatro Ariston, nell'autunno del 2007. Sul palco di Sanremo, Conte ha, infatti, modo di far conoscere le sue prime canzoni, in particolare all'interno delle varie edizioni del Club Tenco, fino a diventarne (assieme ai colleghi Francesco Guccini, Roberto Vecchioni e molti altri) un protagonista di punta, venendo premiato dalla stessa rassegna, svariate volte, con numerosi riconoscimenti; da ultimo è da ricordare la Targa Tenco, quale miglior canzone italiana al brano Elegia, contenuto nell'omonimo album, uscito nell'autunno del 2004.
A tre anni di distanza dalla pubblicazione dell'ultimo album, nel 1979 esce Un gelato al limon, dove il musicista piemontese riscuote successo. Così, dopo vari anni di gavetta, il grande pubblico comincia ad accorgersi del suo "personalissimo stile" che attraverso l'uso costante del pianoforte (suo esplicito alter ego) costruisce musiche e atmosfere dirette a controllare "una voce dal timbro rauco e dimesso, sovente tesa a narrare storie e luoghi del tutto inusuali, spesso mondi esotici che hanno il compito di celare, nella realtà, sonnacchiosi sobborghi di provincia". In risposta a gran parte della critica, che intravede nel lessico contiano svariati riferimenti al mondo della provincia, così si esprime il cantautore, in un'intervista del 1991, rilasciata al collega Gino Paoli: «Non ne sono convinto e mi sono stupito che i critici considerino questi aspetti un privilegio della provincia: casomai rappresentano la peculiarità di tutta la cultura italiana che ha una forte connotazione provinciale. Nelle piccole città si osservano le cose con più attenzione, i personaggi sono meno massificati, è più facile centrarli. Sono forse un po' più protagonisti».
Il favore presso il pubblico dell'album Un gelato al limon è dovuto soprattutto alla presenza di canzoni quali Bartali, dedicata al famoso ciclista e all'omonima title-track (dedicata alla moglie Egle), interpretata, tra l'altro, nello stesso anno, anche da Lucio Dalla e Francesco De Gregori che la includono nella scaletta del loro fortunato tour Banana Republic. In merito a questo fatto lo stesso Conte ricorda l'incontro con Francesco De Gregori, avvenuto a Roma, poco tempo dopo la conclusione del tour: «Mia moglie ed io stavamo andando in un ristorante, e dal fondo di una strada vedo apparire Francesco De Gregori: una figura alta che si stagliava in lontananza e si profondeva in scuse da lontano, e mi si avvicinava dicendo: "Mi perdonerai? Mi perdonerai?" "Ma per Diana, certo che ti perdono! Anzi mi hai fatto un gran regalo". Voleva farsi perdonare lo stile con il quale aveva interpretato la canzone, che lui stesso giudicava più profonda di quanto dicesse il tipo di esecuzione da loro scelto [...] è uno dei bei ricordi che fanno parte del catalogo degli "amati clienti", come chiamo gli esecutori delle mie canzoni, memorie del mio passato da avvocato». L'opera, di fatto, apre le porte al jive, vale a dire a quel particolare linguaggio gergale, tipico dello slang afro-americano, composto da suoni che si ripetono a più intervalli, sostenendo e ricamando il canto. L'uso del jive, diverrà, ben presto un marchio di fabbrica dell'artista, rendendo ancor più riconoscibili e peculiari le varie esibizioni dal vivo (basti pensare al famoso za-za-ra-zzaz di Bartali o più avanti al du-du-du-du di Via con me). Altri brani da evidenziare sono l'ariosa Dal loggione, Rebus, Il nostro amico Angiolino, Sudamerica (reinterpretata al Club Tenco insieme a Ivano Fossati, Roberto Benigni e Francesco De Gregori) e Blue tangos, inclusa, anni dopo, nella colonna sonora del film di Jean-Luc Godard, Nouvelle vague, del 1990.

Gli anni ottanta
Da Paris milonga ad Appunti di viaggio

Il 25 marzo 1981 il Club Tenco organizza una sorta di ventiquattro ore non-stop in onore di Paolo Conte dal curioso titolo di "Contiana". Si tratta del primo, importante, riconoscimento nei confronti dell'artista piemontese e l'occasione coincide con la presentazione del nuovo album, dal titolo Paris milonga. Sul palco dell'Ariston sale Roberto Benigni che a sua volta omaggia il cantautore astigiano, cantando un brano dall'ironico titolo Mi piace la moglie di Paolo Conte. È questa la peculiare genesi di uno degli album più conosciuti e apprezzati del repertorio contiano, e questo, anche grazie alla canzone Via con me, destinata, nel tempo, a riscuotere un ampio successo sia di pubblico che di critica. Anni dopo, Paolo Conte fornirà una personale lettura del brano ai microfoni della trasmissione radiofonica Alle otto di sera: «Vorrei che le canzoni non si consumassero mai. Per un compositore sono il profumo di un mazzo di fiori, e a forza di sentirle questo profumo a volte rischia di andarsene [...] Alcune di esse hanno avuto, però, più fortuna presso il pubblico. Una di queste, oltre ad Azzurro, è di certo Via con me. La cosa mi fa piacere perché, è sicuramente tra le mie preferite [...] Canzone tanto amata, tanto lavorata, e per fortuna tanto consumata, al punto che non soltanto molte ditte l'hanno usata come colonna sonora per le loro pubblicità, ma tantissimi registi di cinema, italiani, inglesi, americani o tedeschi, l'hanno usata tranquillamente. Non so quale sia la ragione. In un film americano che si svolgeva a Parigi, ho avuto addirittura la sensazione che gli americani volessero dare un'idea di Parigi tramite quella canzone. Mi sono sentito francese senza saperlo».
Il brano assicura ben presto il successo dell'album (il primo del musicista anche fuori i confini italiani) e questo anche grazie alle nuove formazioni delle sue band di supporto, sempre a metà strada tra l'ensemble jazz e le big band di origini statunitensi, dove compaiono musicisti come Jimmy Villotti e Bruno Astesana. Altri brani del disco da sottolineare, sono senz'altro: Alle prese con una verde milonga, che dà in parte il titolo all'LP, dove nel testo viene citato il musicista argentino Atahualpa Yupanqui, «ultimo interprete - secondo le parole di Conte - della danza pampera chiamata milonga», Boogie, che verrà interpretata tre anni dopo da Ivano Fossati, L'ultima donna, Blue Haways e il dittico dal sapore transalpino Madeleine e Parigi. Sempre nel 1981 collabora con Gabriella Ferri per l'album Gabriella, per cui scriverà alcune canzoni come Sola contro un record, Non piangere e Vamp (quest'ultima ripresa anche dall'autore dal vivo), oltre a Non ridere (reincisa da Conte nell'album Elegia del 2004, con testo parzialmente differente).
Non passa neppure un anno da Paris milonga e l'artista piemontese dà subito alle stampe un altro disco dal titolo Appunti di viaggio, e attraverso una nuova manciata di canzoni torna a ritrarre mondi esotici e inusuali, dove i suoni e le immagini tratteggiano città geograficamente lontane, spesso semplicemente sognate come Chinatown, Shangai, Timbuctu e Zanzibar, quest'ultima vagheggiata in Hemingway, canzone che spesso, in quegli anni, apriva tutti i concerti del cantautore. In merito alla genesi di Hemingway, così ricorda il musicista: «La canzone l'avevo ambientata a Venezia, volevo una canzone notturna, una musica notturna, un'ambientazione notturna molto particolare, e mi è venuta l'idea di Venezia di notte, e da Venezia è venuto fuori l' Harry's bar, da lì un barman che parla francese, perché, secondo un vecchio cliché, il barman per eccellenza non può che parlare francese, ed evoca il fantasma di Ernest Hemingway». Molti i brani dell'album da menzionare: si va dalle ritmate Fuga all'inglese, Lo zio e Dancing, a brani più intimisti come Nord, La frase e Gioco d'azzardo. Da non dimenticare, infine, il Foxtrot da camera di Diavolo rosso, canzone tra le più eseguite dall'artista nei concerti, e dedicata alla propria terra d'origine, nonché al celebre ciclista Giovanni Gerbi.

Un autore internazionale
Due anni dopo l'uscita di Appunti di viaggio, il musicista si presenta sul mercato discografico con un nuovo LP, che per la terza volta si intitola semplicemente Paolo Conte, album con il quale il musicista inaugura la collaborazione con Renzo Fantini, che da qui in avanti diverrà suo manager e produttore. L'album viene visto dalla critica come una fusione delle due precedenti istanze creative facendo giungere il musicista alla definitiva maturità artistica. Tanti i brani da ricordare, molti dei quali, divenuti, ben presto, veri e propri classici del cantautore. Basti pensare a canzoni come Gli impermeabili (terzo episodio della tetralogia del Mocambo), l'evocativa Sparring partner, la notturna per piano e sax Come mi vuoi?, la suadente L'avance, il divertito jive di Macaco e Come-di, swing alla Cab Calloway, con numerosi doppi sensi linguistici e vocali. Il tema unificante dell'album è quello dell' "uomo scimmia", soprannome dato dalle comunità afroamericane ai ballerini jazz, sorta di elogio alla musica americana o più precisamente alla musica nera, e dipanato secondo dotte citazioni per tutte le canzoni del disco e che trova il suo momento di maggior concentrazione nel brano Sotto le stelle del jazz ("un uomo scimmia cammina o forse balla chissà...") che rappresenta uno dei pezzi più conosciuti e acclamati del cantautore astigiano.
Accolto benevolmente dalla critica, il disco lancia Conte sullo scenario internazionale. Ne segue un'intensa attività live, che lo vedrà impegnato parallelamente sia in Italia che in Francia, quella stessa Francia che già in passato aveva sentito quale luogo d'ispirazione e vicinanza culturale. Da qui nascerà un anno dopo il doppio album Concerti, primo album dal vivo pubblicato dal musicista, dove le registrazioni dei vari brani vengono riprese dai concerti tenuti al Teatro alle Vigne di Lodi, il 28 maggio 1985, al Teatro Morlacchi di Perugia, il 20 di giugno e al Théâtre de la Ville di Parigi, il 15 e 16 marzo 1985. Il disco è presente nella lista dei 100 album italiani più belli di ogni tempo, classificandosi in settantesima posizione, e si avvale di numerosi musicisti di valore, molti di loro, abituali collaboratori di Francesco Guccini, quali Antonio Marangolo, Ares Tavolazzi, ed Ellade Bandini.
In merito ai suoi primi spettacoli in terra francese Conte avrà a dire: «Parigi per me è stata molto importante, il primo rapporto con il pubblico straniero l'ho avuto lì. Il privilegio è quello di essere chiamato dai francesi, e non di cercare di forzare la loro sensibilità per esibirsi nei teatri. I francesi sono venuti a cercarmi, mi hanno offerto i primi tre spettacoli al teatro de la Ville, spettacoli che non dimenticherò mai, perché quando sono entrato in scena pensavo che non ci sarebbero state più di cinquanta persone. Invece per tre giorni ci fu il tutto esaurito». E ancora: «Il successo parigino e francese in generale mi ha aperto improvvisamente le porte di tutta Europa. Significa che un successo parigino rimane ancora una credenziale importante, che Parigi è una realtà culturale riconosciuta: da lì ho potuto andare in Germania, in Olanda, dove ho avuto i successi più grandi, compresa l'Inghilterra, che come ben si sa è un luogo molto difficile da conquistare, poi l'America e così via...». Per il cantautore astigiano ha così inizio una serie di lunghe tournée all’estero, che lo porteranno ad esibirsi due anni più tardi in Canada, allo Spectrum di Montreal, in Francia (tre settimane all’Olympia di Parigi), in Olanda, in Germania, e infine in Belgio, Austria, Grecia e Spagna. Da non dimenticare inoltre i due spettacoli al Blue Note di New York, antichissimo e storico tempio della musica jazz. Dello stesso periodo si registrano le sue partecipazioni ai più importanti festival internazionali di jazz, quali Montreux, Montreal, Juan Les Pins e Nancy. La riprova di questa fremente attività artistica è l'uscita di un secondo album dal vivo, dal titolo Paolo Conte Live, del 1988, ricavato in gran parte dall'esibizione tenuta in Canada, a Montreal, il 30 aprile 1988. Il CD contiene tre canzoni, fino ad allora, mai interpretate dal musicista piemontese: le già citate Messico e nuvole e Vamp e Don't break my heart, già incisa nel 1985, in italiano, da Mia Martini, con il titolo Spaccami il cuore.
Tra i due live citati esce contemporaneamente, per il mercato italiano e per quello estero, Aguaplano, nuova fatica del cantautore astigiano. Un doppio album contenente ventun canzoni, alcune anche in lingua francese come Le tam-tam du paradis, già scritta in passato per uno spettacolo teatrale dedicato ai personaggi di Hugo Pratt. Oltre all'omonima title-track, si ricordano canzoni come Nessuno mi ama, Paso doble, Amada mia, Non sense, Blu notte, Hesitation e soprattutto Max, altra canzone tra le migliori della sua produzione, volutamente costruita secondo un crescendo agogico con motivo bipartito, chiaramente ispirata al Bolero di Maurice Ravel. In merito alla fortuna del brano Conte ha affermato: «Qualche mia canzone ha avuto un riscontro maggiore in una nazione piuttosto che in un'altra. Max, ad esempio, è stata un grandissimo successo da hit parade in Olanda, dove molte mamme hanno chiamato i propri figli con questo nome, per rimanere poi deluse quando mi hanno chiesto cosa volesse dire "Max" e io ho dato loro una spiegazione molto diversa da quella che avrebbero voluto sentire».

Gli anni novanta
Le parole scritte a macchina e la passione per il Novecento

Con il dittico Parole d'amore scritte a macchina, del 1990 e 900, del 1992, il cantautore astigiano inaugura un periodo di nuova fertilità artistica. Il primo album viene definito dalla critica come uno dei più anomali della sua carriera, che segna un'ulteriore svolta stilistica verso un più puro sperimentalismo musicale, dove soluzioni anacronistiche e costruzioni insolite si accavallano continuamente. Un disco assai particolare, fin dalla copertina, dove il fumettista Hugo Pratt, ritrae il volto del musicista astigiano in schizzo nero su un vivace sfondo arancione. Il disco alterna canzoni dal piglio classico come Colleghi trascurati, Un vecchio errore, Lupi spelacchiati e la stessa title-track, ad altre assolutamente più ricercate e sperimentali, come il pseudoblues di Dragon, l'accattivante Mister Jive (nostalgico omaggio a Harry Gibson e al Cotton Club), Ho ballato di tutto e Canoa di mezzanotte. Degne di nota, poi, la verdiana Il maestro e soprattutto la ritmata Happy feet, brani armonicamente cesellati da un controcanto di cori e voci tutto al femminile.
La seconda parte del dittico, ovvero 900, pur mantenendo costante la vena nostalgica, procede in direzione opposta. Il focus dell'opera è quello della fusione massimalista e orchestrale di stili e generi musicali tra i più diversi, ma sempre ricondotti nell'umore artistico dei primi anni del novecento[3]. Non a caso Paolo Conte, in un'intervista di qualche anno fa a Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera ha detto: «L'attualità non mi interessa. Il Novecento non è quello che ho sotto gli occhi, è quello che risuona dentro di me. Nel mio piccolo, ho sempre cercato di inseguire lo spirito di questo secolo. Il Novecento è qualcosa di impalpabile, ha tutto un suo gusto ambiguo, che gli dà un fascino speciale. È un secolo molto difficile, perché pieno di equivoci… Non avrei voluto vivere in un secolo diverso da questo, anche se è un secolo che idealmente non sarebbe il mio: ogni volta che suono il pianoforte andando per fantasmi, mi vien da dire che forse starei meglio nell'Ottocento, secolo sicuramente più pianistico e più libertario. Il Novecento è stato un secolo terribile, con due guerre mondiali: un secolo equivoco, ma interessante, in cui abitare è stato forse un privilegio, anche se oggi non riusciamo ancora a capirlo».
Il nuovo disco, infatti, trova nella sua canzone di lancio, appunto Novecento, il riassunto musicale di ciò che Conte ha spiegato ai microfoni del Corriere della Sera. Il brano diviene rapidamente uno dei favoriti dei numerosi estimatori di Conte. La critica viceversa si divide. Non è favorevole Mario Luzzatto Fegiz, del Corriere della Sera: «Il brano è la conferma del tunnel in cui l'avvocato di Asti è entrato: una strana canzone, che racconta sensazioni a cavallo fra due secoli, in un paesaggio descritto con versi come 'lassù sul palcoscenico pleistocenico sull'altipiano preistorico'. Ahimè, vengono in mente i deliri antiverbali del paroliere di Battisti, Pasquale Panella, o recenti exploit di Claudio Baglioni (le "insolite insolute insalate") [...] Ora tutto è diventato labirinto psicologico, ermetismo, ma soprattutto manierismo estetico ("Galvanizzato il vento spalancava tutti i garages e liberava grossi motori entusiasmati")». Plaude, invece, dalle file del quotidiano La Repubblica, il critico Gino Castaldo, che fa notare come lo stile di Conte nell'intero album sia «Caricaturale, indiretto, deformante, obliquo, com'è nelle sue corde; eppure già nella canzone d'apertura, Novecento, (vezzosamente scritta in lettere, al contrario del titolo dell'album), si coglie una visione fugace, quasi spiata di sguincio, di questo scorcio di fine millennio, che si apre con "dicono che quei cieli siano adatti ai cavalli e che le strade siano polvere di palcoscenico..." e poi passa in rivista tra calembour, allitterazioni e fotografie antiche, la nostra cultura divisa tra "spolverini di percalle" e "grossi entusiasmanti motori", sul ritmo di un avvolgente valzer che tutto travolge e tutto raccoglie in un vortice di sentimenti epocali».
A proposito del suo rapporto con la critica musicale l'artista piemontese ha affermato: «Mi fa piacere quando i critici e gli studiosi di quello che ho scritto mi fanno dei complimenti "intellettuali", facendo ricerche sulle mie tecniche di scrittura, su certe trovate poetiche o di altro tipo. Però il tipo di applauso che io desidero è un applauso di stampo circense. Lavoro con lo spirito dell'acrobata, che in equilibrio cammina sul filo teso e riesce ad arrivare dall'altra parte. Se arrivo dall'altra parte e vengo accolto da un bell'applauso, sono consolato e sorretto dopo questa fatica in una maniera molto antica [...] A me piace vedere il piede che si muove e che batte il ritmo; è il più bel tipo di riconoscimento che mi può venire dal pubblico». Sempre in merito all'album 900, altri brani da menzionare sono senz'altro Pesce veloce del baltico, Gong-oh, tributo alla Art Tatum dedicato a Chick Webb e Sidney Bechet, e ancora: Una di queste notti, Il treno va, Per quel che vale e Chiamami adesso, tutte canzoni che rimandano ad un gusto squisitamente "decadente", caricate di atmosfere e melodie tipiche dei Café chantant della Parigi anni venti. Intanto, tra i due album pubblicati, avviene il primo importante riconoscimento letterario per l'avvocato di Asti, con il conferimento del Premio Librex Montale, nella sezione "Poetry for Music", creato per l'occasione proprio nel 1991, da una giuria, presieduta da Carlo Bo; dopo di lui riceveranno il premio anche Francesco Guccini, Lucio Dalla, Franco Battiato, Fabrizio De Andrè, Ivano Fossati e da ultimo Roberto Vecchioni.

Una faccia in prestito e le varie tournée all'estero
Nell'autunno del 1995, Paolo Conte torna in sala di incisione per registrare un nuovo LP dal titolo volutamente "teatrale" Una faccia in prestito. Accolto freddamente dalla critica del tempo, il decimo album del cantautore astigiano ripercorre la strada già tracciata dal doppio LP Aguaplano. Come in quel caso il musicista piemontese dà alla luce quante più idee possibili, sfornando diciassette canzoni, dove l'italiano, nel dare forma e sostanza ai testi, non è più l'unico idioma possibile. La "geografia linguistica" del cantautore, infatti, si estrinseca in testi che passano dall'inglese di Don't Throw It In The W.C, al dialetto piemontese di Sijmadicandhapajiee, (letteralmente "siamo cani da pagliaio"), dal napoletano di Vita da sosia, al pastiche ispano-americano di Danson metropoli. La ragione di questo mutamento è da ritrovarsi in un'intervista rilasciata dal musicista al Corriere della Sera: «Come tanti compositori che scrivono prima le musiche e poi le parole, in genere scrivo con un finto inglese, che è elastico, ti fa sognare molto di più, i pezzi rimangono più astratti, poi quando devi fare i conti con l’italiano cambia tutto». Anni dopo, nel 2002, chiarirà definitivamente il concetto in un'intervista al già citato programma radiofonico, Alle otto di sera: «È molto faticoso per me, l'ho già detto, piegare la lingua italiana alle esigenze ritmiche e metriche della musica. Sappiamo tutti che quella italiana è una lingua bellissima, ma estremamente difficile da adattare musicalmente per la mancanza di tronche e di elasticità delle sillabe. Tante volte la mia vocazione di musicista mi porta a storpiare la lingua italiana, o a mescolarla con altre lingue per ottenere un risultato buono dal punto di vista ritmico. Mi ha divertito affrontare altre lingue per la loro capacità filmica, cinematografica, teatrale di raccontare al di là dei significati letterali».
Una delle canzoni di punta del disco Elisir, sarà poi riproposta dal cantautore nell'album Danson metropoli - Canzoni di Paolo Conte, personalissimo omaggio degli Avion Travel al musicista astigiano, dove nel brano compare, anche, la voce di Gianna Nannini. Altri brani da segnalare sono: Epoca, Un fachiro al cinema, Cosa sai di me?, L'incantatrice, Architetture lontane e la ritmata Quadrille, dove il musicista alterna le strofe con il contrabbassista francese Jino Touche. Una menzione a parte merita la title track di cui Conte ne ricorda la suggestiva ispirazione: «Una canzone che risale ad un ricordo vero e che si ricollega alla mia grande passione per il jazz. Mi riferisco all'incontro col grande jazzista Earl "Fatha" Hines, un superlativo pianista, detto appunto "il padre", padre del pianismo moderno. Mi è apparso come io volevo che fosse: una bellezza nera, dai denti bianchissimi, vestito da boxeur, con un accappatoio bianco, e in mano una pipa e un bicchiere di whisky. Sono riuscito a ottenere un autografo su un vecchio pacchetto di sigarette Turmack, poi, di nascosto, io e il mio amico Mingo, siamo rimasti dietro le quinte ad assistere alla sua esibizione».
Una costante del musicista astigiano restano le esibizioni dal vivo che puntualmente ripartono ad ogni uscita di un nuovo LP. In questa logica nascono i due live Tournée, del 1993 e Tournée 2, del 1998. Il primo presenta registrazioni effettuate in Europa all'Hamburg Congress Centrum, al Paris/Théâtre des Champs Elysées, al Valencia/Teatro Principal e al Monte Carlo Sporting Club. Nell'album sono presenti tre inediti, anch'essi non in lingua italiana come il music-hall di Bye, Music (interpretato dalle cantanti Julie Branner, Rama Brew, Ginger Brew e Maria Short), la ballata in francese di Reveries e lo strumentale di Ouverture alla russa . Il secondo capitolo di Tournée, realizzato, come detto, nel 1998, contiene ben cinque inediti: Swing, Irresistible, Nottegiorno, Legendary (interpretata dalla cantante Ginger Brew) e Roba di Amilcare, commosso brano in ricordo di Amilcare Rambaldi, tra i primi scopritori dell'artista piemontese, nonché, ideatore del Club Tenco. Sempre nello stesso anno, esce, per il mercato americano, l'album raccolta The Best of Paolo Conte, già pubblicato due anni prima per il mercato europeo. Votato "disco dell'anno" dall'autorevole rivista Rolling Stone, porrà le basi per la realizzazione di un tour di successo in terra americana, che porterà il cantautore ad esibirsi nelle principali città degli Stati Uniti, quali New York, Boston, Los Angeles e San Francisco.
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Messaggio  VIOLONE 1950 Gio Giu 20, 2013 11:09 am

Gli anni duemila
Razmataz:un progetto lungo trent'anni

Il nuovo millennio si apre con la pubblicazione dell'album Razmataz, uscito nel 2000 (anche in DVD) e direttamente tratto dal musical-vaudeville RazMaTaz, ideato e curato dallo stesso Paolo Conte. La commedia vede la luce, per la prima volta, già nel 1989 in un omonimo libro, dove compaiono i disegni, gli spartiti, e i testi con varie annotazioni dell'artista. Il progetto, rappresenta una sorta di atipica forma di spettacolo, pensato e studiato dall'autore, fin dagli anni settanta. Caso unico nel panorama della canzone d'autore, Razmataz, oltre che un disco è soprattutto uno sceneggiato radiofonico che sfocia in un progetto di operetta multimediale, dove alla colonna sonora e alle canzoni si aggiungono tavole interamente dipinte dal musicista, tramite schizzi a carboncino, tempere e disegni (oltre 1.800) che raccontano, come veri storyboard sonorizzati, una trama volutamente fumosa e imprecisa; non a caso l'etimologia stessa del nome Razmataz, deriva dall'inglese colloquiale, che sta a significare: «confusione chiassosa e pittoresca». Ne nasce un'opera inusuale e piuttosto significativa, anche se destinata a non raggiungere il successo desiderato, in virtù della scelta stessa di non concretizzarsi in un musical, compiendo così un'operazione diametralmente opposta a quella del coevo Notre-Dame de Paris di Riccardo Cocciante. Realizzato in varie versioni: italiana, inglese, francese e spagnola, questo nuovo lavoro è soprattutto l'occasione per mettere a nudo la passione del musicista per la pittura e la storia dell'arte, creando fantasie pittoriche che strizzano l'occhio alle avanguardie del primo novecento: Surrealismo e Dadaismo e su tutti, al primo periodo di Carlo Carrà.
Il pretesto narrativo è quello della storia di una ballerina africana di nome Razmataz, della sua rincorsa al successo nella Parigi degli anni venti e della sua rapida e misteriosa scomparsa, metafora dell'incontro della vecchia Europa con la giovane musica nera. La commedia, infatti, vuole essere, soprattutto, un elogio alla musica afroamericana, già affiorata in molti lavori precedenti, dove a contorno si stagliano una serie di figure che hanno il compito di far rivivere un periodo storico preciso, quello della Francia d'inizio secolo, vista, dall'autore, come crocevia culturale di numerose contaminazioni, sia artistiche che musicali. Così, nelle diciotto canzoni presenti nell'album, nascono personaggi come il girovago bluesman di Yellow Dog, i ladroni danzanti della Java javanaise, gli artisti di strada di Ça depend e La petite tendresse e quello della cantante espressionista Zarah, nel brano The Black Queen, attraverso cui l'autore amalgama stilemi musicali propri del jazz, della cultura africana, e del classicismo operistico, fusi in una specifica "poetica dei bassifondi", tipica del romanticismo francese.
Una delle canzoni simbolo, It's a Green Dream, proposta, nel disco, in due versioni, viene così commentata dall'autore: «It's a Green Dream è una delle canzoni chiave, ed è la canzone cara ai neri americani che sono arrivati a Parigi, perché in un testo brevissimo, ripetuto in modo un po' tribale, si immagina un ritorno ad antiche ascendenze della loro razza, e si evoca la terra del Mozambico, come un paradiso perduto. Non dimentichiamoci che sono neri americani i cui avi provengono da una deportazione, e quindi hanno una patria lontana quasi dimenticata, rimasta nel loro sangue, nei loro ritmi, nel loro modo di camminare, di vivere, di pensare, di immaginare, di sognare. Ecco, questo è il "sogno verde", il sogno del Mozambico, terra perduta che si vorrebbe ritrovare».

Nel segno dell'elegia
«Signore e signori dell'Università, su questa mia faccia, sempre che sia sufficientemente espressiva, potete leggere tutta la soddisfazione per l'onore che mi fate, ma anche l'imbarazzo di uno che non è assolutamente in grado di tenere per voi una lectio doctoralis»[50]. Con queste parole Paolo Conte accoglie, il 4 aprile del 2003, la Laurea honoris causa in Lettere Moderne conferitagli dall'Università degli Studi di Macerata, tenendo una lezione sui "tempi dell' ispirazione: il pomeriggio", passando in rassegna, ai fini dell'esposizione, gran parte della poesia e della pittura del novecento, svelando, tra l'altro, la sua particolare predilezione per il pittore Massimo Campigli. Un mese prima, nel marzo del 2003, durante l'incontro-proiezione dell'operetta multimediale Razmataz con gli studenti dell'Ateneo Patavino, a chi gli chiedeva anticipazioni dei suoi progetti futuri, l'Avvocato di Asti affermava che prima o poi gli sarebbe tornata l'ispirazione di scrivere canzoni.
Così, nel novembre del 2004, dopo aver pubblicato un'altra antologia per il mercato estero (Reveries, del 2003), il musicista riappare sul mercato discografico con un nuovo album di inediti, dal titolo Elegia. Primo disco del cantautore per la casa di produzione Atlantic, Elegia è una parola leggibile sia con i registri di "sentimentale" e "morale", sia con quelli di "mesto" e "lamentoso". Il leitmotiv dell'opera è soprattutto quello della nostalgia, una nostalgia, non priva di momenti ironici, che guarda a stagioni e mondi musicali, forse, irrimediabilmente perduti, con cui la musica dell'artista torna a misurarsi. E ciò, si evince, dal brano La nostalgia del Mocambo, ultima canzone della saga, che offre all'ascoltatore un incipit strumentale tipico della bossa nova, facendosi via via sempre più veloce e incalzante. Altre canzoni da segnalare sono la delicata Non ridere, già regalata in passato a Gabriella Ferri, Molto lontano, la stessa title-track, il tango di Sonno elefante e l'ironica Sandwich man, scanzonato ritratto degli albori del cinematografo. Chiude il disco l'honky tonk pianistico del brano La vecchia giacca nuova, appassionata analisi del cabaret e del teatro sociale anni venti.
Un anno dopo, nel 2005, esce nuovamente un altro disco dal vivo, dal titolo Live Arena di Verona. Il doppio album, a differenza dei precedenti live, non è un puzzle di registrazioni delle varie perfomance europee, ma è bensì una fedele trasposizione del concerto tenuto all'Arena di Verona (davanti a dodici mila spettatori), la sera del 26 luglio 2005. Unico inedito del disco è il brano Cuanta Pasiòn, che vede la partecipazione del chitarrista Mario Reyes, dei Gypsy Kings e della cantante iberica Carmen Amor. Inoltre, sempre, nel 2005, dopo trentasette anni, torna a scrivere per Adriano Celentano, regalando all'artista milanese una nuova canzone dal titolo L'indiano. In merito a questa nuova collaborazione Paolo Conte, in un'intervista a La Repubblica, dichiara: «Ho scritto questa canzone facendogli una specie di ritratto. Per far capire il suo modo di parlare, il suo modo di esprimersi, che è proprio come quello di un indiano». Ad una successiva intervista, aggiunge: «Ho scritto questo testo facendo tesoro delle parole che Celentano mi aveva detto tanti anni fa, descrivendomi il paradiso come un cavallo bianco che non suda mai, "perché sai", diceva, "se tu vai a cavallo qui in mezzo alle gambe senti il sudore del cavallo". Mi sembrava una parlata da indiano, e ho scritto una musica un po' pellerossa che non mi dispiaceva affatto, lui è stato un po' timido nel cantarlo, un po' cupo, sembra quasi che col mio provino l'abbia influenzato. Io invece sono sempre stato molto stimolato dalla sua voce».

Tra pittura e canzoni
Nel maggio del 2007, l'Accademia di belle arti di Catanzaro decide di conferire al cantautore una laurea honoris causa in pittura. All'artista astigiano viene così conferita una seconda onorificenza per «la conclamata competenza nel campo della pittura», secondo quanto comunicato dall'ateneo calabrese, il giorno della cerimonia. Nello stesso periodo, nel febbraio del 2007, il Comune di Asti decide di accettare la proposta di commissionare all'avvocato piemontese, la preparazione dei due tradizionali sendalli raffiguranti san Secondo, dipinti dal cantautore per le celebrazioni del 40º Palio di Asti. Ambe due le occasioni diventano materia di cronaca per porre l'artista al di fuori del mondo della canzone, spostandone l'attenzione verso, la già citata, passione per la pittura. A tal proposito il musicista ricorda: «Nella mia vita il vizio della pittura è molto più vecchio rispetto a quello della musica. Risale a quando ero bambino, poi magari sono stato anni senza toccare pennelli o matite. Da piccolino disegnavo trattori. Crescendo ho disegnato donne nude e musicisti di jazz». Numerose, d'altronde, sono state, negli ultimi anni, le mostre esposte dal cantautore, sia in Italia che all'estero, spesso anche insieme al altri artisti, come nel caso della mostra a Castel Sant'Angelo, che nel 2006 ha raccolto quadri realizzati da Dario Fo, Paolo Conte, Franco Battiato, Gino Paoli e Tony Esposito.
L'artista astigiano, comunque, ben lungi dall'abbandonare la musica leggera, nel settembre del 2008, torna nuovamente sulla scena musicale con la pubblicazione di un nuovo album di inediti, dal titolo Psiche, che viene presentato in anteprima alla Salle Pleyel di Parigi con l’orchestra sinfonica dell’Ile de France, diretta da Bruno Fontaine, a cui seguirà una speculare tournée europea. L'album Psiche, propone novità sonore del tutto estranee al mondo del musicista, pur mantenendo saldo il gioco linguistico di atmosfere e colori propri della cultura esotica. Così Curzio Maltese dalle pagina del quotidiano La Repubblica: «Nel nuovo album di Paolo Conte si ritrovano i miti di sempre, dalla bici al circo, dai misteri femminili alle suggestioni esotiche. Ma ci sono anche sapori e colori inediti, una ricerca musicale che accantona per un po’ jazz e swing e sposa per la prima volta l’elettronica e i suoni di gomma e di plastica dei sintetizzatori, con tutta la loro strana poesia».
In merito all'esotismo della scrittura contiana, da sempre al centro dell'attenzione della critica musicale, Paolo Conte afferma: «Tante volte, quando mi intervistano, mi parlano di un esotismo che ricorre sovente nelle mie canzoni, ed è stato fatto un accostamento, illustre tra l'altro, con Emilio Salgari. Per un po' ho accettato questa definizione, forse l'ho perfino suggerita io stesso, perché era il caso mio: mi inventavo il Messico, mi inventavo Timbuctù, Babalù, e tutti gli esotismi possibili senza mai essere stato in giro, senza averli mai conosciuti da vicino [...] il mio esotismo è un malessere che i francesi chiamano ailleurs, il senso dell'altrove, tipico degli scrittori novecentisti, ed è una forma di pudore e fa sì che certe storie della nostra vita reale vengano trasferite in un teatro più lontano, più immaginifico, più fantasmagorico, per attutire il senso della realtà e trasformare la povertà che può esserci nel contenuto di una storia raccontata in qualche cosa che può essere più vicino alla favola, alla fiaba». L'album, presenta numerose canzoni di stampo melodico come L'amore che, Intimità e Psiche, ad altre più elaborate come la brasileira Danza della vanità, Big Bill, Silver fox e il soul - gospel del brano Il quadrato e il cerchio. Nello stesso anno compare anche l'album Paolo Conte Plays Jazz, uscito per la Sony, che raccoglie una collezione di brani standard d'impronta swing, contenente, tra l'altro, l'intero LP The Italian Way to Swing, del lontano 1962.

Gli anni Dieci
Una ritrovata continuità artistica

A riprova di una ritrovata continuità artistica, a soli due anni di distanza dall'ultima fatica, il 12 ottobre 2010 esce per l'etichetta discografica Platinum (gruppo Universal) il quattordicesimo album in studio del cantautore, intitolato Nelson. Il titolo, deriva dalla caratteristica copertina dove è presente un ritratto del cane di famiglia, deceduto nel 2008 e dipinto, dallo stesso musicista. L'autore in tal proposito afferma: «Non l'ho mai citato in nessuna canzone e allora ho voluto intitolargli un disco». L'uscita dell'album viene anticipata dal singolo L'orchestrina, in rotazione nelle radio italiane dal 24 settembre 2010. La canzone, come spiega una nota sul disco, è dedicata a Dino Crocco: «Dino Crocco - spiega Paolo Conte - era un carissimo amico, oltre ad essere il capo di un’orchestrina che suonava nelle belle sale da ballo italiane negli anni Sessanta. Ho dedicato a lui questa canzone che si chiama L’orchestrina perché mi riporta a quegli anni, quando io seguivo queste orchestre e osservavo cosa succedeva nell'orchestra e intorno all'orchestra». Ancora una volta il nuovo LP si nutre di brani cantati in numerose lingue, si va dal francese di C'est beau, al napoletano di Suonno e' tutt'o suonno, dall'inglese di Bodyguard of myself, alla spagnoleggiante Los amantes del Mambo. Canzoni da ricordare e che si inseriscono visibilmente nel classico repertorio del musicista sono: Tra le tue braccia, Galosce selvagge, Clown e il divertissement di Sotto la luna bruna.
Il disco è un invito a distaccarsi dalla barbarie del quotidiano, a conferma della rinomata idiosincrasia dell'artista per l’attualità. Il relativo concetto viene esposto dall'autore in un'intervista al Corriere della Sera: «Il mio pubblico non è schiavo delle mode e io lo lascio libero sia dal punto di vista stilistico che da quello concettuale», e alla successiva domanda del giornalista Andrea Laffranchi su un suo personale giudizio sulla realtà di oggi, il musicista risponde: «Ne penso tutto il male possibile, ma è meglio non parlarne per non sollecitare brutte abitudini. Ci sono battaglie perse in partenza contro certi modi di fare e criticare non basta, ci vorrebbe un impegno più forte, forse bisognerebbe fare delle multe per slealtà, cattiveria, volgarità, cattivo gusto, in generale e all'italiana». L'album è dedicato a Renzo Fantini, produttore e collaboratore di lunga data dell'artista, recentemente scomparso nel marzo del 2010.

Nel 2011, pubblica una nuova raccolta dal titolo Gong-oh (contenente il brano inedito La musica è pagana). A seguito del ritiro dalle scene di Ivano Fossati (a cui seguirà un anno più tardi quello di Francesco Guccini), alla domanda sulla possibilità di dimettersi come "cantautore", il musicista risponde: «Ci sono artisti che desiderano morire in scena, altri che se la sentono di praticare la difficile arte di fare i pensionati. Ma poi, di notte, col favore delle tenebre, la musica potrebbe bussare alla porta...». Nello stesso anno, la città di Parigi conferisce al musicista, la Grande medaille de Vermeil, massima onorificenza della capitale francese, confermando ancora una volta, nei confronti dell'artista piemontese, una stima e un affetto oramai trentennali.

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