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CANTANTI/GRUPPI ANNI' 70
:: ROBERTO VECCHIONI
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Sanremo 2011: Roberto Vecchioni fa trionfare la vera musica italiana
«Mi hanno detto “sei medaglia d’oro”.
Lì per lì non ho capito, poi mi hanno spiegato cosa era successo e mi sono accasciato su una sedia. C’era un caldo, un’oppressione, ho dovuto respirare prima di andare sul palco», racconta, digerita l’emozione, il vincitore di Sanremo.
Un vincitore inatteso, anomalo, prezioso, con la sua sigla di autore sul Festival Morandi, un caso che sia un cantautore storico a superare, addirittura con la complicità del televoto, a rompere l’incantesimo di Amici sul palco dell’Ariston (due primi posti e un secondo in tre anni).
Un caso anche questo singolare, nel pieno di una stagione di ripiegamento degli esponenti storici del cantautorato nazionale, alle prese con crisi creative e anche di pubblico. «È vero - ammette - i cantautori sono in crisi. Da una parte c’è chi è diventato modernista e si è dato al rock dimenticando l’importanza delle parole. Dall’altra chi soffre la mancanza di idee. La canzone d’autore deve invece imparare ad andare verso il popolo. Anche perchè la forma canzone è una testimonianza precisa di quello che si vive ogni giorno. Una funzione importante specie in un Paese come questo dove le idee durano cinque minuti».
Il successo di Chiamami ancora amore ha questo senso?
«Penso di sì. Comunque sono venuto a Sanremo con questa convinzione, ne avevo parlato anche con i miei studenti».
La canzone parla di notti da finire. A cosa si riferisce?
«A due notti diverse. Una notte italiana, politicamente orribile perchè non ci vogliamo bene e l’altra è una notte esistenziale, in cui bisogna combattere e mettersi d’accordo con una fede o con una speranza perchè sennò non si va avanti. Spero, politicamente, che qualcuno si tolga la maschera. Il problema non è la destra o la sinistra, sono gli uomini».
Subito dopo la vittoria, stanotte, ha commentato: questa vittoria dimostra che su questo palco può esserci qualsiasi espressione della canzone italiana.
«Il Festival usa un linguaggio elementare, trasmette emozioni grossolane, si tratta solo di migliorarne la comunicazione e diciamo che ci siamo riusciti. Questa è una strada da battere. Ho ricevuto email da Jovanotti, da Zucchero e anche loro hanno sottolineato questa cosa e cioè che non è difficile andare verso un pubblico più ampio. Diciamo, allora, che mi hanno mandato avanti ed è andata bene. D’ora in poi sarà più facile, altri cantautori potranno venire, ma saranno sempre secondi».
E lei, ci tornerebbe?
«Di corsa. Tutto quello che è successo in questa settimana mi è piaciuto. Lo rifarei. Eccome. Sempre».
Morandi ha detto che ha dovuto sudare parecchio per convincerla a partecipare a questo Festival.
«Si, non potevo accettare l’invito e presentarmi con una canzone troppo letteraria, sarebbe stato come andare a una festa di contadini in smoking. Ci voleva il vestito ideale. Così ho pensato a scrivere un pezzo che fosse all’italiana con un ritornello. Ho fatto la musica, poi in due ore ho scritto il testo, partendo da una sequenza che avevo già in testa».
Ne è uscita una canzone progressista, cantautoriale e popolare, oltre che bella.
«Non è, però, una canzone di parte. C’è gente anche a destra che la pensa allo stesso modo, per esempio quelli del Fli. E, comunque, io sono un poetastro e i poetastri rispondono ai fatti coi sentimenti e con la speranza».
Alla fine, da questo Sanremo, escono grandi vincitori Morandi, il conduttore, Benigni con la sua lezione di italianità e lei con una canzone di idee. E tutti e tre siete notoriamente esponenti di sinistra. Allora è vero che il Festival si è schierato?
«Benigni è più schierato di me e di Gianni che siamo più moderati. Credo però che da Sanremo arrivi un bel segnale sulla strada da intraprendere anche per i democratici: cercare di essere più in sintonia con gli altri. Quanto a Gianni, ne esce come un grande esempio di italiano sincero, onesto».
Che senso ha nella sua carriera un successo così fragoroso.
«Lo sento anche come un modo per rivendicare un’intera carriera. Sono uno che ha scritto duecento canzoni e nella mia carriera ho venduto 10 milioni di dischi. Ma molte delle mie canzoni sono conosciute solo da una fetta di italiani. Ecco, stavolta mi hanno votato ragazzi che neppure mi conoscevano. Adesso mi piacerebbe ampliare quel pubblico e far capire che la mia musica non è musica difficile».
Lei parla di giovani, ma sul palco assieme a Emma e ai Modà eravate due ultrasessantenni più vicini ai settanta che ai sessanta.
«Ormai oggi la vecchiaia è diventata giovane. Nell’arte e nello spettacolo è pieno di personaggi della nostra età, penso ad attrici come la Sandrelli e come Virna Lisi».
E ora come affronterà l’ondata anomala del successo?
«Sto scrivendo un romanzo che uscirà per Einaudi, poi d’estate farò sicuramente concerti. Ne ho voglia e bisogno».
di Marco Molendini
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