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LA CANZONE ROMANA
Italia Canora :: MUSICA LEGGERA ::
LE CANZONI DELLE NOSTRE BELLE CITTA'
:: I CANTANTI E LE CANZONI ROMANE
LA CANZONE ROMANA
Dal Rinascimento al Settecento
La canzone romana, così come ci è nota, ha origini nel tardo Medioevo e nel Rinascimento e riflette evidentemente le mentalità, i costumi, le credenze, le esigenze e i desideri della relativa epoca.
Roma è una città soprattutto religiosa, abitata da un gran numero di preti e suore e quindi non stupisce che già nel Settecento fosse diffuso il il duetto fra madre priora e suora intitolato La galinella, e addirittura il Giubileo del 1500 fu rallegrato dalle musiche polifoniche del Palestrina e dalle rime cantate da san Filippo Neri e leggermente storpiate dai cantastorie del tempo.
La contraddizione che emerge sin dai secoli scorsi è proprio questa comunanza fra temi sacri e profani, tra i santi e la madre Maria da un lato, le donne e il vino dall'altro; oltre a questi temi non mancarono le canzoni politiche e sociali, ma affrontate in modo satirico e quasi mai in modo rivoluzionario.
Le forme musicali più diffuse e comuni furono lo stornello, ossia brevi strofe costituite da un quinario riferite abitualmente ad un fiore, seguite da due endecassillabi a rime; il sonetto, chiamato anche romanella, componimento in ottave, degnamente rappresentato dalla canzone Bella quanno te fece mamma tua, una delle melodie più antiche pervenute sino a noi; la tarantella, da non confonderla con il ballo napoletano, costituite da quartine a rime, utilizzata per occuparsi di tematiche femminili o di tematiche di attualità stringente, come il trasferimento de mercato delle erbe in Campo de' fiori, avvenuto nel 1651.
Assieme a tutte queste forme musicali cantate, il ballo per eccellenza era il saltarello, scandita dal ritmo del tamburello, che cercava di evocare soprattutto scene di corteggiamento amoroso.
Al Settecento viene abitualmente fatta risalire la canzone d'amore Come te posso ama' nota anche come Canto del carcerato, oltre Alla renella che influenzò Pëtr Il'ič Čajkovskij durante la sua permanenza a Roma, quando descrisse le fonti di ispirazione del suo Capriccio italiano.
COME TE POSSO AMA' (Canto del carcerato)
- A tocchi a tocchi la campana sona
li turchi so' sbarcati a la marina
chi c'ha le scarpe rotte l'arisola
io già l'ho risolate stammatina
Come te posso amà
Come te posso amà
Si esco da 'sti cancelli
quarcheduno l'ha da pagà
Amore, amore, manname 'n saluto
ché sto a San Michele carcerato
da amici e da parenti abbandonato
me sento un pover'arbero caduto
Come te posso amà
Come te posso amà
Si esco da 'sti cancelli quarcheduno l'ha da pagà
A tocchi a tocchi la campana sona
Li turchi so' arrivati a la marina
Viva li monticiani!, viva Roma!
Viva la gioventù trasteverina!
Come te posso amà
Come te posso amà
Si esco da 'sti cancelli
quarcheduno l'ha da pagà
Si esco da 'sti cancelli
quarcheduno l'ha da pagà
Ultima modifica di admin_italiacanora il Mar Giu 14, 2011 11:35 pm - modificato 1 volta.
Re: LA CANZONE ROMANA
Se per la canzone napoletana l'evento che ha in qualche modo ufficializzato e fissato nella storia una passione vecchia di molti secoli fu la Festa di Piedigrotta, per la canzone romana esistette un avvenimento di un'importanza similare, come la festa di S.Giovanni, raduno popolare svolto presso Porta San Giovanni, dove si sfidarono a singolar tenzone cantori, cantastorie, in una gara di stornelli alimentati dal vino dei Castelli.
Il preambolo a questa iniziativa fu senza dubbio il desiderio di festeggiare il ventennale dell'Unità d'Italia con Roma capitale e dai primi di maggio si susseguirono vari raduni quali le prime corse ippiche sulla nuova pista di Tor di Quinto.
Quindi nella notte tra il 23 e il 24 giugno del 1891 in una osteria appena fuori Porta S.Giovanni, chiamata Facciafresca venne ideato il concorso per la più bella canzone romana.
La manifestazione riscosse un successo di pubblico inaspettato, al punto che la folla, in preda all'entusiasmo deragliò sul palco dove avrebbero dovuto esibirsi i cantanti muniti di mandolini, chitarre, violini, grancassa. L'organizzatore fu costretto a rimandare la manifestazione al giorno seguente cambiando sede, nella quale vinse la canzone Le streghe, musicata da Calzelli e su testo di Ilari, che ebbe l'onore di essere cantata magistralmente da Leopoldo Fregoli, in procinto di divenire il trasformista per eccellenza.
Le streghe era una canzone in stile romanza, che nei testi conservava traccia della festa pagana antecedente alla commemorazione del Santo.
In quegli anni stava divenendo una moda la canzone, talvolta estratta da versi celebri, come nel caso de "La serenata" di Gioacchino Belli, musicata da noti maestri, come il Parisotti.
Altre canzoni che restarono agli annali nelle prime edizioni della manifestazione furono Affaccete ciumaca di Ilari-Feroci, 'La lumacara, Quanto sei scema di Cotogni-Persichetti, e soprattutto Affaccete Nunziata di Ilari-Guida, considerata una della più belle canzoni della fine del secolo, lanciata anche dal tenore Tommaso Fiorentini:
1893 - AFFACCETE (Nunziata) * versi di Nino Ilari -- musica di Antonio Guida
Fu presentata al concorso di San Giovanni nel 1893 con il titolo originario "Affaccete"; non vinse, ma il pubblico decretò il suo straordinario successo specialmente dopo che entrò a far parte del repertorio di Lina Cavalieri e di Ettore Petrolini che l'aveva inclusa nel suo repertorio e la cantava magistralmente tra l'uno e l'altro dei suoi lavori.
Accompagnata da chitarre e mandolini, portata sui carri addobbati, fra le fiaccole che illuminano l'Appia e ripetuta dagli innamorati, complice la luna d'estate nasce forse la più bella fra le serenate romane.
I semplici versi evocano il cielo stellato e i profumi della notte. La canzone romana incontrò il suo momento fortunato.
La serenata (la parola deriva da sera, dopo il tramonto, o da Sirena, allusiva al canto ammaliatore delle mitiche incantatrici), aveva tutto un cerimoniale da rispettare, sia nell'azione scenica, sia nelle parole d'obbligo delle canzoni o degli «stornelli». «Er cascante», cioè l'innamorato, il giovanotto che « penneva» per la ragazza, si portava in compagnia degli amici, fra cui l'indispensabile suonatore di calascione, sotto le finestre della bella e le esprimeva, attraverso le parole rituali del canto d'amore, i suoi sentimenti.
Si dichiarava venuto da lontano a quel verone sospirato e invocava la bella di svegliarsi (anche se la bella era già sveglia da un pezzo) e di aprire la finestra per ascoltare le sue parole d'amore.
La tradizione popolare romana vantava bellissime serenate d'amore, raccolte in gran parte da Giggi Zanazzo in Canti popolari di Roma e del Lazio, le cui parole esprimevano nel saporito dialetto romano una delicata e raffinata poesia: «Ciavete l'occhio nero e 'r petto bbianco,/ de quà e de Ilà du' lampene d'argento,/ chi ve vo' bene a voi diventa santo».
Fra le grazie della bella, quelle più celebrate nelle canzoni e negli stornelli d'amore, erano il petto, la bocca e so-prattutto gli occhi, i celebri occhi neri delle romane: «Ciavete l'occhio nero brillantino,/ fate cala' l'amanti da lontano,/ considerate quelli da vicino./ Fiore de pepe,/ e quanno pe' la chiesa camminate,/ co' 'sti bell'occhi li lumi accennete».
- Affaccete Nunzià, core adorato
sche 'sta nottata invita a fa l'amore
er celo è tutto quanto imbrillantato
la luna manna a sfascio lo spremore.
E tira un venticello dorce dorce
che fa tremà le foje adacio, adacio
a quando ammalappena che le storce
pe' faje appiccicà tra loro un bacio
Affaccete Nunziata
boccuccia de cerasa
fravola inzaccherata
fatte vedè lassù.
Però ce manchi tu 'nde sta nottata,
ce manca la bellezza de quer viso;
quanno t'affacci tu che sei 'na fata
sto monno se trasform in paradiso.
Quanno t'affacci te, tutte le stelle
perdeno de bellezza e de chiarore,
perchè tu sei la bella fra le belle
che poi compete co' quarsiasi fiore.
Affaccete Nunziata
boccuccia de cerasa
fravola inzaccherata
fatte vedè lassù.
Il successo della manifestazione è attestato dalla sua longevità visto che ancora nel secondo dopoguerra si susseguirono le audizioni del Festival di San Giovanni.
La rassegna canora di S.Giovanni, resse persino l'urto di altre due importanti manifestazioni istituite, una negli anni Venti, definita la Piedigrotta romana ideata dall'editore Gennarelli e negli anni Trenta la rassegna fascista trasteverina Festa de' Noantri gestita dal Dopolavoro: La fine dell'Ottocento si rivelò un momento d'oro per la musica romana, dato che molti tenori, oltre al già citato Fiorentini, come Checco Marconi e Toto Cotogni, per non parlare di Lina Cavalieri portarono le canzoni romane in tutta Italia e persino nei templi della musica internazionale come il Metropolitan.
Fonte: QUI
La canzone romana in questo periodo acquistò sempre più umorismo, spirito, allegria, basti pensare al cantante.comico Gustavo Cacini, divenuto celebre anche per aver ispirato con la sua marcetta intitolata Il treno rosa, addirittura Faccetta nera di Mario Ruccione, pur restando fedele, la canzone romana, ad una tradizione di sonetti e di stornelli lirici e appassionati.
Assieme a questi filoni, la canzone romana ottocentesca mise in mostra anche le canzoni filopapiste o anticlericali, basate spesso su rime di Pasquino e di Ciceruacchio, oppure quelle carnevalesche, per non parlare di quelle politiche; e a tal proposito ancora nell'anno 1924 si intonavano canzoni chiaramente critiche e sbeffeggianti il regime.
Ultima modifica di admin_italiacanora il Sab Set 17, 2011 10:52 am - modificato 2 volte.
Re: LA CANZONE ROMANA
[justify]Verso la fine dell'Ottocento e agli inizi del Novecento il luogo preposto per le canzoni popolari è l'osteria, dentro la quale tra fumi e alcool, si dettarono le strofe de La società dei magnaccioni rielaborata dopo qualche decennio e portata al successo da Gabriella Ferri.
Tra le canzoni della mala, celeberrima furono Gira e fai la rota (* vedi Discografia ALVARO AMICI), la rivisitazione del Canto del carcerato ed il Canto della Passatella, che era un gioco di società tutt'altro che innocuo.
Nei primi anni del Novecento le tematiche preferite dagli autori romani risultarono ancora le donne e l'amore, con le solite eccezioni di tematiche d'attualità a carattere satirico, basti pensare a Li paini d'oggi giorno del 1898, una presa in giro della moda d'impomatarsi, oppure a È vietato de sputa' che faceva riferimento alla proibizione di quella abitudine antichissima ma poco igienica, oppure ancora a Tassametro d'amore del 1909 dedicata all'introduzione dei tassametri per i vetturini.
Altre canzoni:
- NINA SI VOI DORMITE (di Leopardi-Marino 1901), interpretata da Gigi Proietti
Classico della canzone popolare romanesca, vincitrice del concorso canoro di San Giovanni nel 1901; sicuramente è ancora oggi una serenata espressione della migliore tradizione romana.
- In 'sta serata piena de dorcezza
pare che nun esisteno dolori.
Un venticello spira che è 'na carezza
smove le piante e fa' sboccià li fiori.
Nina, si voi dormite,
sognate ch'io ve bacio,
e v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
Profumo de li fiori ve confonne,
er canto mio se perde tra le fronne.
Nina, si co' sto canto io v'ho svejata,
m'aricommanno che me perdonate.
L'amore nun se frena, o Nine amate,
che a vole' bene, no, nun è peccato.
Nina, si voi dormite,
sognate ch'io ve bacio,
e v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
Profumo de li fiori ve confonne,
er canto mio se perde tra le fronne.
Profumo de li fiori ve confonne,
er canto mio se perde tra le fronne.
- L'ECO DER CORE (di Balzani-Petrini 1926), interpretata da Stefano
Scritta da Oberdan Petrini e Romolo Balzani vinse una edizione del concorso canoro di San Giovanni. E’ sicuramente un classico della musica di Roma: dalla sua uscita e per parecchi anni non vi fu a Roma serenata in cui non fosse eseguito '"L'eco der core".
- Canzone de 'sto còre appassionato
Che spasimi pe' lei tutte le pene
Faje sentì cor canto delicato
'Sta fiamma che me brucia nelle vene
Di che pe' lei sortanto
Io smanio soffro e canto.
Nell'aria dorce e tenera
Assieme cor profumo de ogni fiore
Porta 'na nota limpida
Co' l'eco de 'sto còre
Che dice co' 'na voce de incantesimo
Amore, amore amore.
Chitara che m'accordi in fa minore
Mentre la notte è limpida e stellata
Fa che quest'eco che sussurra amore
Lo senta pure lei la mejo fata
Che dorme tra l'incanto
All'armonia der canto.
Nell'aria dorce e tenera
Assieme cor profumo de ogni fiore
Porta 'na nota limpida
Co' l'eco de 'sto còre
Che dice co' 'na voce de incantesimo
Amore, amore amore.
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