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MARIO CAPPELLO - Biografia, Canzoni, Video, Testi
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MARIO CAPPELLO - Biografia, Canzoni, Video, Testi
Biografia
Ebbe una vita artistica assai fortunata, interrotta solo dalla morte prematura a cinquantanove anni di età.
Il giornalista e scrittore Cesare Viazzi ha pubblicato un libro - "Mario Cappello, lo chansonnier dei due mondi" - in cui ricostruisce minuziosamente la biografia e celebra i successi artistici di questo cantante, attore ed autore molto amato nel capoluogo ligure.
Da Cappello - a cui è intitolata una via di Genova all'interno dei Giardini Govi sul lungomare di Corso Italia, nei pressi di Punta Vagno - prende il nome la compagnia teatrale dialettale genovese "Circolo Mario Cappello", che opera principalmente al Teatro Carignano, nell'omonimo quartiere.
Figlio di Antonio Cappello e di Teresa Grosso (Vedova Boasi) , probabilmente di lontana origine piemontese ma appassionata della canzone napoletana, nacque nel quartiere della Chêullia, in vicolo San Giovanni Battista, poco lontano dalla casa natale di Paganini; da piccolo amava giocare con le marionette.
Di lui si dice che fosse esile, impacciato e timido.
Rimasto orfano di padre ancora in tenera età, dovette rimboccarsi le maniche per aiutare la famiglia.
Poco più che bambino, di giorno lavorava svolgeva umili mansioni alla Banca Russa e alla sera frequentava le scuole serali; era ancora adolescente quando iniziò a cantare per gli abitanti del quartiere in cui era cresciuto le canzoni napoletane imparate dalla madre.
Il suo primo vero vestito da adulto fu una divisa da fattorino di banca adattata dalla madre che provvide a sostituire i bottoni dorati all'abito.
Debutto con Govi
Cappello iniziò la sua carriera teatrale vera e propria dopo aver ottenuto una scrittura nella celebre Accademia Filodrammatica Italiana di Gilberto Govi, notissimo attore già affermato nel primo ventennio del XX secolo, che teneva i propri spettacoli all'allora Teatro Nazionale (poi Teatro Aliseo e oggi Teatro della Tosse, il secondo teatro cittadino dopo il Teatro di Genova).
Non era neppure ventenne che continuava ad alternare il lavoro alle esibizioni artistiche, sia come attore che come cantante, esibendosi in vari teatri di varietà e nei café chantants. Come artista alle prime armi aveva scelto uno pseudonimo: il nome di Mario Di Napoli.
Prima guerra mondiale
Allo scoppiare della guerra, Cappello fu mandato al fronte e, dopo la disfatta di Caporetto, fu aggregato al 90° fanteria in Francia. Rimasto ferito, fu lasciato nelle retrovie. Ebbe modo così di partecipare agli spettacoli allestiti per i soldati.
Le sue esibizioni variavano dalla prosa al canto, anche lirico, ma sempre su palcoscenici di fortuna e, soprattutto, negli ospedali da campo.
Ebbe però modo di dare rappresentazioni anche in veri e propri teatri, come accadde ad esempio Parigi e a Clermont-Ferrand.
Dopo la guerra, nel 1920, si sposò con Amelia Crema, da cui ebbe due figli: Bianca e Guido.
La Festa della canzone genovese
La fama di Cappello si consolidò solo qualche anno dopo, nel 1924, in occasione della Festa della canzone genovese; la manifestazione - ideata dallo scrittore Costanzo Carbone - si tenne per cinque sere dall'8 gennaio 1925 al Giardino d'Italia.
Il concorso canoro fu organizzato non tanto in virtù di una canzone genovese già esistente, quanto piuttosto per sfida: la redazione della rivista letteraria "La Superba", che aveva sede in salita Pollaiuoli, cercava di far nascere anche a Genova una canzone d'autore in lingua genovese, con l'intento di portare la città ligure al livello di altre importanti città come Napoli, Torino, Milano, Venezia, Firenze e Roma.
L'organizzazione chiamò come interpreti due tenori - Mario Cappello, appunto, e il napoletano Gennaro Comite, che lasciava trasparire l'accento partenopeo - e le cantanti Maria Veneziani, Tullia De Albertis e Liliana Doria.
Carbone, padrino della manifestazione, era l'autore della maggior parte dei testi presentati.
Tra i musicisti emergeva la figura di Attilio Margutti.
Ma se ghe penso
...Veddo o mâ, veddo i mæ monti
e a ciassa da Nonsiâ,
riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu,
veddo a lanterna, a cava, lazzû o mêu...
Riveddo a séia Zena illûminâ,
veddo là a Foxe e sento franze o mâ..
Il grande successo di Mario Cappello, Ma se ghe penso (Ma se ci penso), fu presentato pochi mesi dopo al Teatro Orfeo, insieme alle canzoni presentate alla Festa e ad altri nuovi brani, tra cui Tranvajetti da Doia (Tramway della Doria), di Carlo Otto Gugliemino, direttore della rivista "La Superba".
Si fecero venti repliche nelle quali cantarono Cappello e il soprano Luisa Rondolotti.
La seconda parte delle serate al Teatro Orfeo iniziava abitualmente con Se ghe penso. Il titolo non aveva ancora la particella Ma iniziale, che non è chiaro in quale circostanza sia stata aggiunta.
L'accoglienza fu calorosa, e in breve la canzone di Margutti e Cappello divenne un inno d'amore e nostalgia per tutti i genovesi, soprattutto in anni in cui l'emigrazione era molto forte.
Cantore dei due mondi
La fama di Cappello crebbe rapidamente: il trentunenne Mario viaggiava cantando per tutta l'Italia. Lo notò Sergio Corsanego, rappresentante a Genova della casa discografica tedesca Parlophon (la stessa per la quale avrebbero inciso molto anni più tardi i Beatles).
Cappello incise quindi alcuni 78 giri a Berlino, non destinati però al mercato italiano ma a quello dell'America latina, dove più forte era la presenza di immigrati dall'Italia.
Ciò portò alla prima tournée sudamericana, avvenuta nel 1927.
Cappello si imbarcò nel porto di Genova sul transatlantico Conte Verde accompagnato dall'attore, amico ed impresario Attilio Castagneto, che l'anno prima aveva già portato a Buenos Aires l'attore Gilberto Govi.
Il 30 luglio 1927 al Teatro Marconi di Buenos Aires Cappello venne applaudito in maniera calorosissima. Cantò trentacinque brani in dialetto genovese e molti altri in quello napoletano; ma si esibì anche in lingua italiana e in lingua spagnola.
Rimase in Argentina quattro mesi, tenendo molte rappresentazioni in teatri, feste, cene e incontri ufficiali con connazionali; si esibì anche alla radio, presentando canzoni genovesi ma anche motivi di sapore patriottico.
Sempre legato a Genova
Cappello era molto legato alla sua città natale e partiva per i suoi viaggi attraverso l'Oceano Atlantico portando con sé vasetti di pesto e mazzi di basilico genovese utili a confezionarlo durante la navigazione.
Le sue canzoni esprimevano una vita semplice e concreta, umile, come nella Canson da Chêullia (Canzone di Chêuilla) in cui esclamava: Cöse son queste palanche, cöse servan a ûn vegetto se a so casa, meschinetto, forse o no-a veddiä mai ciû? (Cosa sono questi soldi, cosa servono a un vecchietto, se la sua casa, poverino, forse non vedrà mai più?).
Nel 1944 cantò - dimostrando un grande coraggio - Zena sata in pë (Genova salta in piedi, Genova raddrizzati) di forte carattere anti-nazista.
Dopo la seconda guerra mondiale ebbe un nuovo grande periodo di popolarità quando la stazione radiofonica di Genova dell'allora EIAR scelse Ma se ghe penso come sigla di una popolare trasmissione: A Lanterna (La Lanterna, riferita appunto al faro di Genova).
Morì, cinquantanovenne, a Genova e la sua tomba si trova nel cimitero monumentale di Staglieno.
Re: MARIO CAPPELLO - Biografia, Canzoni, Video, Testi
La leggenda del Piave
Zena bella
Semmo do Zena
Ciaccierata
Gexa de San Giulian
Cantemmo un po' zeneixe
Rondaninn-a
Strazetti d'Arbà
Leggenda rossa
(Ma) Se ghe penso
Canson da Cheuglia
Tranvaietti da Doia
Ostaietta in Cianderlin
Digghe de scì e scigoa
A-o belvedere
Re: MARIO CAPPELLO - Biografia, Canzoni, Video, Testi
In tempi recenti è stata eseguita da diversi cantanti, fra cui Mina nel 1967. Nel 2007 è stata incisa anche da Antonella Ruggiero, che già la cantò nel capoluogo ligure il 26 luglio 2004 in occasione della manifestazione canora Just Like a Woman registrata nell'album Stralunato Recital Live. Durante la serata finale del Festival di Sanremo 2011 la canzone è stata eseguita sul palco del Teatro Ariston dal terzetto Massimo Ranieri, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu.
Storia
La canzone fu lanciata in un primo momento con il titolo Se ghe penso, senza la congiunzione iniziale "ma", aggiunta in un secondo momento non si sa bene quando e da chi.
La paternità della canzone è invece sicuramente attribuibile a Mario Cappello (tanto per i versi quanto per la musica) mentre Attilio Margutti collaborò soltanto alla stesura musicale.
L'anno di nascita del brano fu il 1925. La prima interpretazione del brano fu quella del soprano Luisa Rondolotti, che lo cantò al Teatro Orfeo, una sala genovese che oggi non esiste più.
Erano gli anni in cui nasceva la canzone dialettale genovese derivazione degli antichi trallallero, e che sarebbe poi sfociata in un certo senso nella scuola dei cantautori genovesi passando prima attraverso lo swing dell'immediato dopoguerra di Natalino Otto e il gruppo degli urlatori anni sessanta di cui faceva parte il cantante con il saltino: Joe Sentieri.
Contenuto
La canzone narra la storia di un genovese costretto a emigrare in America Latina in cerca di fortuna, ma ripensando alla bellezza della sua città e sopraffatto dalla nostalgia per essa, decide di ritornare.
La canzone apre e chiude con il riferimento alla povertà del protagonista, che dopo essere partito senza un soldo (sensa ûn-a palanca), torna trent'anni dopo a Genova lasciando tutto quello che aveva guadagnato in America pur di rivedere la sua terra (E sensa tante cöse o l'è partïo)
Non gli importa che il figlio preferisca rimanere: lui partirà in un viaggio a ritroso (nel tempo e nello spazio) per formare di nuovo il suo nido a Genova. Questa canzone è testimone dell'attaccamento dei genovesi verso la loro città e (finalmente) sfata il mito della loro avarizia, riconoscendo loro valori più alti di quelli materiali: ad un'iniziale bramosia di benessere (Aveva lottato per risparmiare e farsi la palazzina e il giardinetto), pian piano la nostalgia gli attanaglia il cuore.
La versione originale cantata dall' autore, il magnifico Mario Cappello e musicata dal M° Attilio Margutti:
TESTO DIALETTALE:
- (LIJ)
« O l'ëa partîo sensa 'na palanca,
l'ëa zà trent'anni, forse anche ciû.
Ô l'aiva lottòu pe mette i dinæ a-a banca
e poèisene ancon ûn giorno turnâ in zû
e fâse a palassinn-a e o giardinetto,
co-o rampicante, co-a cantinn-a e o vin,
a branda attaccâa a-i ærboi, a ûso letto,
pe dâghe 'na schenâa seja e mattin.
Ma o figgio ô ghe dixeiva: "No ghe pensâ
a Zena cöse ti ghe vêu tornâ?!"
Ma se ghe penso allôa mi veddo o mâ,
veddo i mæ monti e a ciassa da Nûnsiâ,
riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu,
veddo a lanterna, a cava, lazû o mêu...
Riveddo a-a seja Zena inlûminâa,
veddo là a Fôxe e sento franze o mâ
e allôa mi penso ancon de ritornâ
a pösâ e össe dove'hò mæ madonnâa.
O l'ëa passòu do tempo, forse tróppo,
o figgio o l'inscisteiva: "Stemmo ben,
dove ti vêu anâ, papà?.. pensiemmo dóppo,
o viaggio, o mâ, t'é vëgio, no conven!"
"Oh no, oh no! mi me sento ancon in gamba,
son stûffo e no ne pòsso pròppio ciû,
son stanco de sentî señor, caramba,
mi vêuggio ritornâmene ancon in zû...
Ti t'é nasciûo e t'hæ parlòu spagnòllo,
mi son nasciûo zeneise e... no ghe mòllo!"
Ma se ghe penso allôa mi veddo o mâ,
veddo i mæ monti e a ciassa da Nûnsiâ,
riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu,
veddo a lanterna, a cava, lazû o mêu...
Riveddo a-a seja Zena inlûminâa,
veddo là a Fôxe e sento franze o mâ
e allôa mi penso ancon de ritornâ
a pösâ e osse dove'hò mæ madonnâa.
E sensa tante cöse o l'è partîo
e a Zena o g'ha formòu torna o sêu nîo. »
TRADUZIONE:
- (IT)
« Era partito senza un soldo,
erano già trent'anni, forse anche più.
Aveva lottato per mettere i soldi in banca
e potersene un giorno tornare ancora giù
e farsi la palazzina e il giardinetto,
con il rampicante, con la cantina e il vino,
la branda attaccata agli alberi a uso letto,
per coricarcisi sera e mattina.
Ma il figlio gli diceva: "Non ci pensare
a Genova cosa ci vuoi tornare?!"
Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo il Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la Lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dov'è mia nonna.
Ed era passato del tempo, forse troppo,
il figlio insisteva: "Stiamo bene,
dove vuoi andare, papà?.. penseremo dopo,
il viaggio, il mare, sei vecchio, non conviene!"
"Oh no, oh no! mi sento ancora in gamba,
sono stufo e non ne posso proprio più,
sono stanco di sentire señor carramba,
io voglio ritornarmene ancora in giù...
Tu sei nato e hai parlato spagnolo,
io sono nato genovese e... non ci mollo!"
Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la Lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare,
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dov'è la mia nonna.
E senza tante cose è partito
e a Genova ha formato di nuovo il suo nido. »
Fonte: QUI
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